PRESENTAZIONE


Andrea Lorenzo Agliaudi è un impressionante esempio di artista per natura. Il suo fare arte non nasce da studi, da tecniche apprese a scuola o in Accademie, ma da una spiccata sensibilità e un’innata capacità espressiva. Basta sfogliare questo catalogo, o visitare la mostra a lui dedicata, per comprendere l’ecletticità e la sterminata produttività che caratterizzano l’arte di Andrea.

L’artista ci dà una forte lezione di vita con le proprie opere: spesso noi spettatori d’arte confondiamo lo strumento con l’opera. Andrea utilizza strumenti molto diversi tra loro, eppure è sempre lui, e lo riconosciamo nelle sue opere.
Partiamo per esempio dalle sue produzioni digitali.

Capita che la tecnica digitale venga trattata con sufficienza, distanza, quasi fosse meno arte di altre forme artistiche. Questa diffidenza nasce dall’opinione che il mezzo digitale sia uno strumento alla portata di tutti, e che quindi fare arte digitale sia come affidarsi a un mezzo “capace” di lavorare al nostro posto. Non serve uno specialista a sfatare questa considerazione, bastano le opere di Andrea.

Prima di tutto, sappiamo veramente cosa intendiamo quando parliamo di arte digitale? Semplicemente ci riferiamo a tutta quella produzione artistica realizzata con strumenti tecnologici digitali. Nasce negli anni ’50 da alcune sperimentazioni effettuate direttamente su monitor da Ben Laposky (USA) e Manfred Frank (Germania), due matematici e programmatori insieme, non artisti nel senso stretto del termine, ma con delle sensibilità artistiche di gusto fortemente grafico.

Dire “arte digitale” è quindi in sintesi un po’ come dire “arte scultorea” o “arte pittorica”: non identifica infatti una tecnica precisa, ma un gruppo di possibili tecniche alle quali l’artista attinge. Come l’arte scultorea comprende la scultura in marmo, la fusione in bronzo, la statua plasmata in plastilina e l’arte pittorica fa riferimento ad acquerelli, oli, tempere e quant’altro, anche l’arte digitale è un bacino molto ampio di tecniche, tanto è vero che questo grande settore può essere definito in decine di sotto categorie in base alla tecnica digitale utilizzata: Bio art, Bots art, Database art, Digital activism, Digital Animation, Digital community, Digital graphycs, Digital performances, Game art, GIF art, Glitch art, Digital Interactive installation, Nano art, Net art, Robotics, Virtual art e altre.

Sicuramente la tecnologia digitale costringe l’artista a un approccio meno materiale con l’arte: il contatto con la materia si fa da tangibile a virtuale. Questa osservazione, che spinge molti a sminuire la creazione digitale, era già stata avanzata con l’avvento della fotografia: la macchina fotografica sembrava uno strumento troppo autonomo e relativamente semplice da utilizzare perché la fotografia potesse essere considerata arte.

Bisogna però fare un passo indietro: lo strumento non fa l’opera, è solo il medium che l’artista utilizza per tradurre il proprio pensiero. L’opera è fatta dall’artista. Se consideriamo il computer come una matita è tutto più chiaro: anche la matita è uno strumento, di fatto è la matita a lasciare un segno sul foglio, è grazie a lei che il foglio da bianco si riempie di immagini, ma a nessuno verrebbe in mente che un disegno fatto da Correggio, Guercino, Leonardo o da qualunque altro artista sia meno artistico per questo. Dobbiamo abituarci a considerare il computer esattamente alla stregua di qualunque altra tecnica artistica sperimentata nella storia dell’arte per non lasciarci ingannare dall’apparente facilità.
Continuo il paragone per evidenziare un altro aspetto. È vero che al giorno d’oggi ci sono numerosi programmi di computer grafica accessibili a tutti, e senza alcun bisogno di una formazione specifica possiamo dilettarci a creare immagini a casa nostra, dal personal computer o dal tablet, apparentemente senza difficoltà. La tipica frase “Lo posso fare anche io” sembra ancora più azzeccata oggi per la digital art. Eppure allo stesso modo tutti, a partire dai tre anni circa, siamo in grado di tracciare facilmente un segno con una matita sul foglio. Ognuno di noi a casa ne ha almeno una, e si potrebbe benissimo dilettare a usarla per disegnare immagini senza alcuna formazione specifica. Ma da qui a fare arte c’è di mezzo un abisso, c’è di mezzo la sensibilità personale del vero artista, che sceglie lo strumento più adeguato per tradurre il proprio pensiero in opera.

Il fare arte non sta nello strumento ma risiede a monte, nell’animo dell’artista, e nella sua capacità di utilizzare la tecnica per trarre da essa il risultato più completo ed efficace possibile. Per questo motivo mi sento di dire in tutta onestà che è vero, so usare anche io la matita, ma non sono un’artista.
Andrea invece lo è, e parliamo di un artista a tutto tondo. Andrea ha la capacità di sfruttare al meglio le tecniche che nel corso della propria vita ha imparato a usare, da autodidatta e sperimentatore quale è, per realizzare opere che esprimano appieno la propria potenza creativa.

La computer grafica non è che l’ultimo approdo della sua ricerca: il disegno, la scultura, la fotografia, tutto è stato utilizzato da Andrea per creare arte. Di ogni strumento egli ha saputo riconoscere la specifica qualità espressiva ed utilizzarla per trasmettere di volta in volta il proprio pensiero.

Andrea ha ben capito che l’arte digitale ha una caratteristica fondamentale: quella di poter plasmare gli elementi, deformarli, distorcerli, da solidi farli diventare liquidi, da stabili renderli traballanti. Su questo concetto di trasformazione poggiano gran parte delle sue opere digitali: in esse convivono consistenze e definizioni diverse, in un’atmosfera spesso straniante. Su fondi liquidi e fumosi, quasi pennellati, si stagliano figure totemiche e quasi arcaiche definite e precise, come stencil applicati. La tridimensionalità è un’altra caratteristica ricorrente nei suoi disegni digitali: il sovrapporsi di texture diverse crea una successione di piani che conduce lo spettatore in profondità, lo invita ad entrare in uno spazio alieno, a condividere una sorta di trance dei sensi e della percezione. La distorsione dello spazio si accompagna a figure umane spesso stilizzate che rappresentano l’uomo Andrea, ma che permettono anche l’identificazione con l’uomo qualunque, con noi, con voi. Dopo tutto, l’arte da sempre ha permesso di creare “altro” rispetto a quello già creato dalla natura. L’arte non nasce da subito come descrizione, quanto come rappresentazione del non visibile o non tangibile, di universi legati alla sacralità e al mito.

In questo l’arte di Andrea utilizza uno strumento contemporaneo per inserirsi in una storia millenaria di creazione: la sua computer grafica è contemporanea quanto contemporanee erano le incisioni rupestri per i popoli preistorici.
Non a caso ricorrono nelle opere di Andrea riferimenti alle immagini primitive, alle culture altre. Forte in lui infatti è lo spirito di ricerca universale, che lo ha portato a conoscere culture lontane e ad appassionarsi a sistemi di linguaggio, che siano verbali o visivi poco importa, diversi dal nostro.
Ricorrono nei suoi disegni ideogrammi orientali, figure femminili rese con l’eleganza della stampa nipponica tanto amata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il cui impatto stilistico fu tale da aprire nuove strade anche all’arte europea di quel periodo.

Di ogni tecnica Andrea spreme il succo.

I suoi disegni e le sue chine mettono in evidenza una capacità grafica notevole, ma soprattutto una mente indagatrice e minuziosa: si avvicinano quasi a tavole mediche per la precisione del tratto, sono impietosi nell’accumulo di particolari, di segni, di linee. Lo possiamo quasi immaginare mentre con la mano, senza sosta, traduce su carta gli altrettanto rapidi pensieri che si affacciano di continuo nella sua mente.
Egli riconosce inoltre nella scultura la tecnica privilegiata con cui approfondire il suo interesse per le forme primitive. La scultura ha un’espressività intrinseca che le deriva dal materiale d’origine, ma anche dall’impegno fisico che impone all’artista per essere estirpata dalla materia iniziale. Le sculture di Andrea, pietre e legni sono potenti, lavorate con forza, con impegno, con profondità. Richiamano reperti archeologici perché spesso sbozzate; le immagini sono volutamente accennate, ma in questa capacità dell’uomo di partire da poche linee e volumi per ricostruire immagini finite sta la forza universale dell’arte: serve poco a farci riconoscere un volto, basta un accenno formale, un volume abbozzato, perché l’uomo ha un bagaglio culturale comune al quale attingono sia l’artista che il visitatore, e che inevitabilmente li avvicina.

La capacità di sintesi visiva a cui ho accennato conduce presto Andrea a lavorare su loghi. Un logo efficace deve essere facilmente riconoscibile e memorizzabile, d’impatto, originale e bello. Più il risultato finale è semplice e immediato, più il logo funziona, più significa che il lavoro intellettuale che ha portato a tale risultato è stato impegnativo. La semplicità del risultato finale è inversamente proporzionale alla semplicità dell’ideazione. Realizzare un logo richiede inoltre una capacità di empatia con il committente, perché un logo non deve rispecchiare le caratteristiche dell’artista ma quelle del prodotto. Andrea riesce in tutto questo, con una sensibilità e un’eleganza impressionanti.

È davvero notevole come Andrea sia riuscito a raggiungere un tale grado di maestria senza aver frequentato alcuna Accademia o scuola d’arte. Ma in fondo basta conoscerlo un po’ anche solo attraverso la biografia o i ricordi degli amici, per capire che siamo davanti a una personalità esorbitante, a un irrefrenabile fagocitatore di stimoli, a una mente ipersensibile e prontamente impressionabile – nel senso positivo del termine. I suoi interessi sono enciclopedici, la sua passione altrettanto vasta e la sua produzione si è rivelata, in occasione di questa retrospettiva, sorprendentemente ampia e varia.

In tutta questa eterogeneità di soluzioni e di opere però la sua mano e il suo pensiero sono sempre riconoscibili. Fortemente presente in gran parte della sua produzione è una disincantata ironia, intesa non come un pesante fardello ma come un invito a essere leggeri, un invito a vedere le incongruenze della realtà che ci circonda come uno degli aspetti divertenti della vita. Questa ironia è più manifesta nelle opere digitali, ma sottostà al suo stesso concetto di fare arte, che è in parte concepito come un gioco. Spesso commettiamo l’errore di associare gioco e superficialità: al contrario, il gioco è un momento fondamentale della crescita umana e, perché l’uomo si realizzi, deve essere presente in tutte le fasi della vita, non solo nell’infanzia. È quel momento in cui ci è permesso di essere altro da noi stessi, di sperimentare, di guardare in un certo senso la nostra vita da fuori, di immaginare. Solo attraverso la capacità di giocare l’uomo può aprire la mente a nuove prospettive, può arricchirsi di stimoli che nella quotidianità non lo toccherebbero. Lo sanno bene gli antropologi, lo sa bene anche Andrea, non solo perché sicuramente tra i vari interessi avrà approfondito anche quello antropologico, ma probabilmente perché lo sente istintivamente.

Ho parlato di Andrea al presente perché quando si parla di arte, vera arte, non ha senso usare passato o futuro: tocca oggi, emoziona oggi, sorprende oggi perché non importa se è stata realizzata oggi, cento anni fa o mille anni fa, la sua efficacia emotiva sarà sempre contemporanea.
 

Beatrice Resmini